Nuova puntata della nostra nuova rubrica speciale, Pillole di Innovazione dal pianeta Generazione Z Cosa diamine sono un BrainFART o un BrainROT!?! Nuova puntata di Pillole di Innovazione …
Nuova puntata della nostra nuova rubrica speciale, Pillole di Innovazione dal pianeta Generazione Z Cosa diamine sono un BrainFART o un BrainROT!?! Nuova puntata di Pillole di Innovazione …
Nuova puntata della nostra nuova rubrica speciale,
Nuova puntata di Pillole di Innovazione dal Pianeta Generazione Z, la nostra rubrica mensile in cui io, Gian Mario, che appartengo alla Generazione X, mi confronto con mio figlio Niccolò, che invece fa parte della Generazione Z.
È un modo per guardarci attraverso gli occhi dell’altro, per capire come cambia il mondo a seconda di quando sei nato, ma soprattutto per divertirci e scoprire cose nuove… a volte anche un po’ strane.
Oggi parliamo di due espressioni curiose che Niccolò ha usato una sera mentre stavamo parlando a cena, e che mi hanno lasciato lì a bocca aperta, a pensare: “Ma che diamine ha detto?”.
Le espressioni sono: brain-FART e brain-ROT.
Ecco, se anche tu che stai ascoltando ora non le hai mai sentite, non preoccuparti: non sei solo. Anch’io, da bravo Gen X, non avevo la minima idea di cosa volessero dire. Ma Niccolò, come al solito, è intervenuto con calma e ironia a spiegarmelo.
Allora, iniziamo da brain fart. Letteralmente potremmo tradurlo come “flatulenza del cervello”… sì, lo so, è un’immagine poco elegante, ma rende perfettamente l’idea.
Un brain fart è quando il cervello… diciamo, si blocca all’improvviso. Stai parlando, hai in mente una cosa, stai per dire qualcosa di brillante, magari ti sei pure preparato prima, e puff… ti dimentichi tutto. Il vuoto assoluto. Il classico “ce l’ho sulla punta della lingua, ma non mi viene”.
È una dimenticanza momentanea, spesso buffa, e non c’è niente di serio o patologico. È come quando vai in cucina, apri il frigorifero… e ti chiedi: “Ma io cosa stavo cercando?”. Ecco, quello è un brain fart.
A me succede, lo ammetto, soprattutto quando ho troppe cose in testa, troppi file aperti nella mente. Ma anche a Niccolò capita, magari mentre gioca o fa più cose insieme.
E qui arriviamo al secondo termine, quello un po’ più complesso, e per certi versi più preoccupante: brain rot.
Letteralmente significa “marciume del cervello”… non suona benissimo, vero? Ma tranquilli, non è una vera malattia. È un modo di dire che i ragazzi usano per descrivere quella sensazione di apatia mentale che arriva dopo troppe ore passate davanti allo schermo, senza stimoli veri.
Hai presente quando inizi a scrollare su TikTok o su Instagram, e dopo mezz’ora non ti ricordi nemmeno cosa stavi guardando? O peggio, quando ti rendi conto che non riesci a concentrarti su nulla perché sei in una specie di nebbia mentale? Ecco, quello è il brain rot.
Niccolò dice che a volte lo sente dopo una giornata passata tra social, scuola online e videogiochi. Non che tutto ciò sia “male” di per sé, eh – anzi, anche io uso i social, lavoro con la tecnologia e adoro i videogame. Ma il punto è l’eccesso.
Quando esageri con il consumo passivo – cioè quando ricevi contenuti uno dopo l’altro senza selezionarli, senza interazione vera – il cervello si spegne piano piano. Non ti annoi neanche, ma non ti diverti davvero. E soprattutto non pensi.
È una sensazione che secondo me noi Gen X conosciamo in un’altra forma. Non avevamo i social, ma dopo ore davanti alla TV a guardare programmi senza senso, ci veniva un po’ quella stessa sensazione: testa svuotata, energia bassa, e la voglia di alzarsi dal divano praticamente sotto zero.
Ma oggi il fenomeno è più forte e più veloce. Perché?
Perché l’algoritmo – e qui apro una parentesi per chi non mastica il termine – è un sistema che decide cosa mostrarci nei social in base ai nostri interessi. Il problema è che spesso ci mostra contenuti sempre più veloci, più assurdi, più coinvolgenti, per tenerci incollati.
E allora sì, dopo due ore di video buffi, assurdi, rumorosi e inutili, ci si ritrova con il cervello in pappa. E quello è il brain rot.
A questo punto mi sono chiesto: ma cosa possiamo fare per evitarlo?
La risposta non è “staccare tutto e tornare al passato”. Quello è impossibile e forse anche sbagliato. La tecnologia è parte della nostra vita, e lo sarà sempre di più.
La risposta è, secondo me, scegliere consapevolmente.
Chiedersi: sto guardando qualcosa che mi stimola davvero? Sto imparando qualcosa? Mi fa ridere, mi fa pensare, mi fa stare bene?
Oppure sono solo lì, in loop, per riempire un vuoto?
E la stessa domanda me la faccio anche io, non solo come padre, ma come professionista. Quanto tempo passiamo a rincorrere contenuti senza filtro? E quanto ci stiamo abituando al “rumore” continuo, senza più momenti di vero silenzio mentale?
Niccolò mi ha detto una cosa che mi ha colpito.
Ha detto: “Papà, non è colpa nostra se abbiamo brain rot. È che nessuno ci ha insegnato a fare pausa.”
E ha ragione. Il problema non è TikTok, o YouTube, o i videogiochi. Il problema è quando non ci fermiamo mai, quando non ci diamo il tempo di scegliere.
Allora magari servirebbe una scuola del “pensare”, un momento al giorno in cui spegnere tutto, anche solo per dieci minuti, e lasciare che il cervello… respiri.
Oggi abbiamo scoperto che “brain fart” è quando il cervello si inceppa per un attimo, e “brain rot” è quando invece si consuma piano piano, come se si intorpidisse. Due espressioni moderne, nate su internet, ma che raccontano qualcosa che riguarda tutti noi, di ogni generazione.
E alla fine, come sempre, non è una questione di età. È una questione di consapevolezza.
Parliamo di un fenomeno che sta letteralmente spopolando tra i più giovani: il brainrot e il brainfart. Due parole strane, buffe, che però raccontano benissimo come ci sentiamo a volte nella nostra vita quotidiana, sempre più immersa nei contenuti digitali. Ti è mai successo di fissare il telefono per mezz’ora senza sapere cosa stai guardando? O magari di bloccarti nel bel mezzo di una frase e dimenticare completamente cosa volevi dire? Ecco, sei nel posto giusto: oggi proviamo a capire cosa significano davvero questi due termini, perché stanno avendo così tanto successo, e cosa ci dicono sul nostro modo di pensare, vivere e stare online.
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